Esiste un ristorante a Napoli, precisamente a Piazza Vittoria n.1, che con la sua esperienza riesce a soddisfare l’olfatto e il gusto dei “palati” più esigenti.
Come tutti i ristoratori degni di nota anche il proprietario di Terrazza Calabritto ha storia e coraggio da raccontare; lui Enzo Politelli è figlio di un ristoratore storico napoletano “Bruno Politelli” che nel 1974 apre il ristorante i Quattro Cani a Napoli in via Crispi. Da lì tanti sacrifici, qualche amarezza e molta innovazione lo hanno portato ad essere un riferimento in Campania, nella Milano che conta, in generale in Italia e non solo.
Ho avuto il piacere di trascorrere qualche ora in sua compagnia e sentite un pò cosa mi ha raccontato.
Tutto comincia come?
Io nasco come un ragazzo che andava a scuola, amava il calcio ma appena finito il liceo ho capito che mi piaceva il “mestiere” di mio padre.
La mia famiglia era totalmente contraria a questa scelta, voleva che mi occupassi di altro e soprattutto che non percorressi la loro carriera difficile, dura e con tanti sacrifici.
Nel mio “Io” avevo scelto, volevo entrare nel settore della ristorazione così inizio a fare una serie di corsi di cucina e sommelier e affianco mio padre per circa dieci anni nella sua attività.
Poi la scommessa. Aprire qualcosa di mio, con le mie idee.
Così insieme ad i miei cugini, Maurizio e Massimo rilevo il Roof Garden a Piazza Vittoria(NA) ed inizia l’avventura di Terrazza Calabritto.
Dal 2013 è entrato a far parte della nostra squadra anche Stefano Vitucci.
In cosa è diversa Terrazza Calabritto?
La mia è una rivisitazione della cucina mediterranea; chi viene nei miei locali non troverà la “pizza” ma una cucina molto più orientata ai crudi con prodotti ittici di altissima qualità.
La filosofia dei miei piatti è in un soffio di vapore che accalda i gamberi, una marinatura agrumata ammorbidisce i giovani carciofi, l’amaro della rucola che chiude il boccone.
Semplicità e perfezione come i semi di papavero che sembrano quasi contenere quel tonno e le sue falde rosa come scottate al sole.
Poi si lavora con le mani…La mozzarella viene farcita con una tartare di pesce e una brunoise di verdure. La rimozzatura è perfezionata dalla nuova pelle panata.
Oppure i ceci al rosmarino sono un “profumo” e una crema alla quale il peperoncino dona un allungo straordinario.
Cucina di semplici addizioni, ma di grande maestria.
Una cucina, la tua, straordinaria ma “diversa” dalla mentalità napoletana, è stata capita subito?
I “cambia-menti” sono sempre difficoltosi. Noi napoletani di fondo sappiamo cucinare bene, quindi è complicato cambiare certe abitudini.
Io con tanta umiltà e studio ho reagito, ci ho creduto e sono riuscito a ritagliarmi una mia credibilità. Oggi la gente mi segue, anche se oso per alcuni piatti restano sempre lì con me spronandomi a fare sempre meglio.
All’inizio però è stata durissima. I primi due anni sono stati devastanti, ero pieno di spese e con pochi introiti, una famiglia da mantenere e tutti che mi dicevano che quello che volevo fare era irrealizzabile. Mi sono ostinato, ero certo che le mie idee “difficili” da digerire in quel momento, alla distanza avrebbero ripagato. Così per sbarcare il lunario, contemporaneamente, insegnavo educazione alimentare nelle scuole media e alle elementari. Mi è servito tantissimo ed ho capito che studio e coraggio mi avrebbero aiutato in quel periodo difficile.
Ed è stato così?
Dopo il terzo anno sono arrivate le soddisfazioni, l’educazione culturale dei clienti e i tanti sacrifici e rinunce iniziavano ad essere ripagate.
Da poco tempo anche la città di Milano ospita “Terrazze Calabritto”. Oggi è semplice dire e scrivere di un successo, ma quante preoccupazioni e pensieri ci sono dietro un passo del genere?
Milano è molto diversa da Napoli. Ci sono 13 ristoranti stellati e ne arriveranno altri. Ci sono almeno 30 ristorantini come Terrazze Calabritto, serve una preparazione di altissimo livello. Poi la differenza maggiore è che a Napoli l’ottimo cibo e i sorrisi conquistano gli ospiti, a Milano se non aggiungi qualcosa di “diverso” non vai da nessuna parte. Infatti ho portato con me un ingrediente segreto: l’umiltà napoletana, non so se basterà ma la vita mi ha insegnato che “se non ci provi non farai mai nulla”.
So che non ti piace molto apparire ma almeno un riconoscimento dei tanti che hai avuto, quello che ricordi di più. Puoi citarlo?
Il mio massimo è stato ai giochi olimpici di Rio, quando mi sono occupato della selezione e del controllo della qualità dei prodotti dei circa mille pasti al giorno serviti agli ospiti presso Casa Italia allestita al Costa Brava Clube di Rio, selezionando i migliori prodotti tipici campani e italiani.
Cosa manca a Napoli per diventare una vera capitale del Mediterraneo?
Le nuove generazioni non devono improvvisare. Bisogna studiare, differenziarsi, osare e sapere anche aspettare.
“Non sono i soldi a produrre il successo, ma le idee”. Napoli è una città meravigliosa, io come tanti ne amo il mare, il clima, la cultura ma serve anche altro per mettersi in linea con le altre città del mondo.
Dimmi la prima soddisfazione che ti dà “gusto” e che spesso ruota nella tua testa.
Mio padre! Ora lavora con me nel ristorante a Napoli. Lo vedo spensierato, felice e senza troppe responsabilità. Ma soprattutto mio padre oggi sorride ed è la persona che maggiormente stravede per me. Ne sono orgoglioso!
Pubblicato su Foodmakers.it