Una versione rivisitata della piramide di Maslow destinata al social media marketing.
È una delle teorie più apprezzate quando si tratta di spiegare la gerarchia dei bisogni e delle motivazioni umani e, proprio per questo, ha visto nel tempo un gran numero di applicazioni in campi molto diversi tra loro, dalle teorie sul business al management e le risorse umane. Si può sfruttare, però, la piramide di Maslow anche per il social media marketing? Ci hanno provato in molti: in qualche caso concentrandosi su cosa vuol dire operativamente fare social media marketing e trasponendo quindi i bisogni elencati nella piramide originale in esigenze concrete che, se soddisfatte, rendono più agile il lavoro del social media manager e in altri casi guardando invece a cosa rende davvero efficace una social media policy. Fermo restando così che, quando si tratta di sviluppare una strategia di social media marketing ci sono parecchi fattori contestuali e legati al settore specifico di riferimento da prendere in considerazione, esistono almeno due modelliche schematizzano i social media marketing need.
SOCIAL MEDIA MARKETING NEED: CINQUE LIVELLI PER INTERPRETARNE I BISOGNI
Il primo è quello di Hootsuite: la piattaforma ha evidenziato cinque livellisuccessivi di bisogni del social media marketing, corrispondenti e che richiamano quelli originali della piramide di Maslow.
Il primo è quello della social media presence: essere presenti sui social network, avere profili e account formalmente completi e una strategia di contenuti, un tono di voce, degli obiettivi di medio-lungo periodo altrettanto definiti sono la prerogativa essenziale senza la quale non si può pensare di formare una community, coinvolgerla, ecc.; per questo questo livello ricorda da vicino quello originario dei bisogni fisici e attinenti alla sfera della sopravvivenza.
Immediatamente dopo, nella gerarchia dei social media marketing need, verrebbe l’online reputation: non si tratta solo di fare in modo che la presenza del proprio brand sui social network sia in tutto e per tutto adeguata alla propria storia, alla propria mission, ai propri valori aziendali; serve soprattutto garantire consistenzaalle proprie attività social che, al pari dell’identità visiva o delle scelte di design (per fare due esempi che arrivano dall’analogico), devono poter richiamare nella mente dell’utente in maniera immediata il brand; non a caso è il livello corrispondente a quello della sicurezza nella piramide di Maslow originaria.
Se lo psicologo americano continua poi la gerarchia dei bisogni umani con quelli legati alla sfera dell’appartenenza e dello spirito di gruppo, anche nella versione 2.0 del modello c’è spazio per il social engagement: il lavoro da community manager consiste nel mettere in atto tutte le strategie possibili per aumentare il coinvolgimento della propria fanbase e delle proprie comunità online di riferimento e ha come parola d’ordine apertura e reperibilità, cosa che si traduce a livello pratico in un ottimo monitoraggio delle conversazioni online e nella presenza attiva (attraverso riposte a menzioni e tag per esempio) al loro interno.
La conseguenza quasi diretta di attività simili consiste nell’avere a disposizione un’altrettanto nutrita community di ambasciatori del brand e cioè di utenti disposti spontaneamente a farsene portavoci tramite azioni che richiedono livelli di coinvolgimento progressivamente maggiore, dal semplice retweet all’endorsement diretto dei contenuti: è tra i social media marketing need quello che più assomiglia al bisogno di stima e riconoscimento sociale che guida le azioni degli individui.
Come il gradino più alto della piramide di Maslow è quello dedicato alla (piena) realizzazione di sé, nel modello riadattato per il social media marketing l’apice è la social influence: a misurarla ci sono metriche di vanità come il numero di follower o di interazioni e altre, più robuste, che hanno a che vedere invece soprattutto con il ritorno concreto che ha il proprio investimento in social media marketing. Guai a pensare comunque che una volta raggiunta la punta di questa versione beta della piramide di Maslow si possa riposare: perché i risultati ottenuti siano duraturi bisogna continuare a investire, in strategie e non solo.
UN ALTRO MODELLO PIRAMIDALE PER INDIVIDUARE I BISOGNI DI CHI FA SOCIAL MEDIA MARKETING
La versione di Fluxe del modello a piramide per il social media marketing need sembra guardare invece più al lato pratico, alla routine quotidiana di un social media manager e a tool e indicatori che gli possano essere d’aiuto. Il gradino più basso così rimane quello della presenza sui social media, immediatamente seguito in questo caso dalla necessità di coinvolgere la propria community e interagire con essa, nonostante venga esplicitamente sottolineato anche che l’engagement da solo serve a poco se non c’è qualcosa che renda evidente quali siano gli obiettivi della propria presenza social. Una buona strategia di content marketing, per esempio: per dare un senso all’essere sui social, non perdere il coinvolgimento ottenuto e procedere dal livello dell’appartenenza sociale a quello dell’autorealizzazione, verso la cima della piramide quindi, c’è bisogno di mantenere alta l’attenzione e per farlo servono contenuti. Non ci sono regole d’oro in questo senso e molto dipende ancora dal settore di riferimento e dall’attività dei propri follower, per esempio. C’è chi, però, dalla sociologia ha preso in prestito un altro principio come quello della regola 80/20: l’80% di contenuti postati sui social potrebbe essere frutto di content curation e cioè materiali di seconda mano come repost, news e simili; mente solo il restante 20% dovrebbe essere creato ad hoc.
Fonte: Inside Marketing